Stiamo seguendo da vicino, in questi giorni di preparazione alla festa di S. Lucia, il testo degli Atti del suo martirio, meditandone i luminosi spunti di riflessione ed esortazione alla conversione.
"Tu osservi i decreti degli imperatori,
Benvenuti nel 1° blog dedicato a S. LUCIA VERGINE E MARTIRE (Siracusa, fine III sec. - 13 dicembre 304). Realizzato dai devoti siracusani, in ricordo della storica VISITA DEL CORPO DI S. LUCIA A SIRACUSA (15-22 dicembre 2004, nel 17° Centenario del Martirio). Email redazione: amicisantalucia@yahoo.it. VIVA S. LUCIA!
«L’Apostolo dice: “Coloro che vivono castamente e piamente sono tempio di Dio, e lo Spirito Santo abita in essi”».
Al consolare romano Pascasio, che la interrogava durante il processo, Lucia ha professato con fermezza e fortezza la sua granitica fede nell’inabitazione dello Spirito Santo nei veri credenti, citando San Paolo, l’evangelizzatore di Siracusa, le cui Lettere ella conosceva perfettamente, per averle a lungo meditate e ruminate nel segreto del suo intimo e amoroso colloquio con l’adorato Sposo Gesù.
Lucia ricorda che l’Apostolo delle genti ha scritto ai Corinzi: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi» (1Cor 3,16-17).
Ora, la comunità cristiana di Siracusa fu una delle prime a poter leggere direttamente una copia delle due epistole che Paolo inviò ai cristiani di Corinto, poiché i Corinzi – giova ricordarlo – furono i fondatori colonizzatori di Siracusa nel 734 a. C. La colonia siciliana mantenne sempre strettissimi rapporti commerciali e politici con la madrepatria dorica, e quindi non tardò l’occasione per i Corinti che avevano aderito alla nuova fede in Gesù Cristo di trasmettere ai compatrioti Siracusani l’ardente insegnamento paolino ad essi destinato.
Lucia ci mostra come a distanza di oltre due secoli quelle parole vibrassero ancora fortemente nel cuore del suo popolo e attraverso i cristiani d’ogni tempo esse risplendono di luce anche per noi cristiani di oggi. Coraggio, allora, facciamo tesoro anche noi della Parola di Dio, ispirata alla penna di Paolo e tramandata dalla voce di Lucia, e rinnoviamo con i nostri grandi santi la loro e nostra medesima fede in Colui di cui siamo tempio santo!
Carissimi amici, ben ritrovati!
Oggi, 30 novembre, festa dell’apostolo S. Andrea, il protòclito (il primo chiamato da Gesù con la divina e trasformante vocazione “Seguimi”), fratello di S. Pietro, corifeo degli apostoli, inizia la tradizionale ‘tredicina’ di S. Lucia, periodo di intensa preparazione spirituale all’attesissima solennità del 13 dicembre, in cui celebreremo il dies natalis della nostra amata Patrona!
Quest’anno la nostra redazione, sempre alla ricerca di nuove idee per poter vivere sempre più in profondità la splendida vita della vera devozione a S. Lucia, ha pensato per voi una nuovissima rubrica, dal titolo “Una luce per lo spirito”: si tratterà di piccole ma certamente preziose ‘pillole’ di riflessione e meditazione per nutrire l’anima e accompagnarla a prepararsi degnamente alla più grande festa siracusana… la festa di S. Lucia! Sarà un bel modo per vivere insieme a tutti voi il conto alla rovescia che fermenta l'attesa del grande giorno!
E’ bene infatti, come ricordiamo sempre, che i segni esterni – legittimi, beninteso – della gioia di questa festa siano espressione di una viva esperienza spirituale e di una vera intensità interiore vissuta da tutti coloro che vogliono essere devoti autentici e graditi alla nostra celeste Protettrice.
Riscopriamo pertanto il significato più profondo di questa festa: la celebrazione lieta e festante di un’eroina della fede cristiana, di un'altissima testimone dell’amore per Cristo, di un fulgido esempio di radicalità evangelica! Lucia, una luce per lo spirito.
Buona tredicina a tutti! Sarausana jè, viva SANTA LUCIA!
Gesù è appena uscito dal tempio. I discepoli gli fanno notare con orgoglio l’imponenza e la bellezza dell’edificio. E Gesù: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata». Poi sale sul monte degli Ulivi, si siede e, guardando Gerusalemme che gli è davanti, inizia a parlare della distruzione della città, e della fine del mondo.
Come avverrà la fine del mondo? – gli domandano i discepoli – e quando arriverà? È una domanda che anche le successive generazioni cristiane si sono poste, una domanda che si pone ogni essere umano. Il futuro è infatti misterioso e spesso fa paura. Anche oggi c’è chi interroga i maghi e indaga l’oroscopo per sapere come sarà il futuro, cosa accadrà…
La risposta di Gesù è limpida: la fine dei tempi coincide con la sua venuta. Lui, Signore della storia, tornerà. È Lui il punto luminoso del nostro futuro.
E quando avverrà questo incontro? Nessuno lo sa, può avvenire in qualsiasi momento. La nostra vita è infatti nelle sue mani. Lui ce l’ha data; Lui può riprenderla anche all’improvviso, senza preavviso. Tuttavia ci avverte: avrete modo d’essere pronti a questo evento se vigilerete.
Con queste parole Gesù ci ricorda innanzitutto che Lui verrà. La nostra vita sulla terra terminerà ed inizierà una vita nuova, che non avrà più fine. Nessuno oggi vuole parlare della morte… A volte si fa di tutto per distrarsi, immergendosi completamente nelle occupazioni quotidiane, fino a dimenticare Colui che ci ha dato la vita e che ce la richiederà per introdurci nella pienezza della vita, nella comunione con il Padre suo, nel Paradiso.
Saremo pronti ad incontrarlo? Avremo la lampada accesa, come le vergini prudenti che attendono lo sposo? Ossia, saremo nell’amore? Oppure la nostra lampada sarà spenta perché, presi dalle tante cose da fare, dalle gioie effimere, dal possesso dei beni materiali, ci siamo dimenticati della sola cosa necessaria: amare?
Ma come vegliare? Innanzitutto, lo sappiamo, veglia bene proprio chi ama. Lo sa la sposa che attende il marito che ha fatto tardi al lavoro o che deve tornare da un viaggio lontano; lo sa la mamma che trepida per il figlio che ancora non rincasa; lo sa l’innamorato che non vede l’ora d’incontrare l’innamorata… Chi ama sa attendere anche quando l’altro tarda.
Si attende Gesù se lo si ama e si desidera ardentemente incontrarlo.
E lo si attende amando concretamente, servendolo ad esempio in chi ci è vicino, o impegnandosi alla edificazione di una società più giusta. È Gesù stesso che ci invita a vivere così raccontando la parabola del servo fedele che, aspettando il ritorno del padrone, si prende cura dei domestici e degli affari della casa; o quella dei servi che, sempre in attesa del ritorno del padrone, si danno da fare per far fruttificare i talenti ricevuti.
Proprio perché non sappiamo né il giorno né l’ora della sua venuta, possiamo concentrarci più facilmente nell’oggi che ci è dato, nell’affanno del giorno, nel presente che la Provvidenza ci offre da vivere.
Tempo fa mi venne spontaneamente di rivolgere a Dio questa preghiera. Vorrei ora ricordarla.
“Gesù,
fammi parlare sempre
come fosse l’ultima
parola che dico.
Fammi agire sempre
come fosse l’ultima
azione che faccio.
Fammi soffrire sempre
come fosse l’ultima
sofferenza che ho da offrirti.
Fammi pregare sempre
come fosse l’ultima
possibilità,
che ho qui in terra,
di colloquiare con Te”.
Questa frase si trova alla fine della parabola chiamata del figlio prodigo, che certamente conoscerai, e vuole manifestarci la grandezza della misericordia di Dio. Essa chiude un intero capitolo del Vangelo di Luca, nel quale Gesù narra altre due parabole per illustrare lo stesso argomento.
Ricordi l’episodio della pecora smarrita per cercare la quale il padrone lascia le altre novantanove nel deserto?
E ricordi il racconto della dramma perduta e la gioia della donna che, avendola ritrovata, chiama le amiche e le vicine perché gioiscano con lei?
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”
Queste parole sono un invito che Dio rivolge a te, e a tutti i cristiani, a godere insieme con lui, a far festa e a partecipare alla sua gioia per il ritorno dell’uomo peccatore prima perduto e poi ritrovato. E queste parole, nella parabola, sono rivolte dal padre al figlio maggiore che aveva condiviso tutta la sua vita, ma che dopo un giorno di duro lavoro, rifiuta di entrare a casa dove si festeggia il ritorno di suo fratello.
Il padre va incontro al figlio fedele, come è andato incontro al figlio perduto, e cerca di convincerlo. Ma è palese il contrasto fra i sentimenti del padre e quelli del figlio maggiore: il padre, con il suo amore senza misura e con la sua grande gioia, che vorrebbe tutti condividessero; il figlio pieno di disprezzo e di gelosia verso suo fratello che non riconosce più come tale. Parlando di lui dice infatti: “Questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi”.
L’amore e la gioia del padre per il figlio tornato, mettono ancor più in rilievo il rancore dell’altro, rancore che palesa un rapporto freddo e, si potrebbe dire, falso con lo stesso padre. A questo figlio preme il lavoro, il compimento del suo dovere, ma non ama il padre da figlio. Si direbbe piuttosto che obbedisce a lui come ad un padrone.
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”
Con queste parole Gesù denuncia un pericolo in cui anche tu puoi incorrere: quello di una vita vissuta per essere una persona perbene, basata sulla ricerca della tua perfezione, giudicando i fratelli meno bravi di te. Infatti, se tu sei “attaccato” alla perfezione, costruisci te stesso, ti riempi di te stesso, sei pieno di ammirazione verso te stesso. Fai come il figlio rimasto a casa, che enumera al padre i suoi buoni meriti: “Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando”.
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”
Con queste parole Gesù va contro quell’atteggiamento per cui il rapporto con Dio sarebbe basato solo sull’osservanza dei comandamenti. Ma una tale osservanza non basta. Di questo anche la tradizione ebraica è ben conscia.
In questa parabola Gesù mette in luce l’Amore divino facendo vedere come Dio, che è Amore, fa il primo passo verso l’uomo senza tener conto se egli lo meriti o no, ma vuole che l’uomo si apra a lui per poter stabilire un’autentica comunione di vita. Naturalmente, come puoi capire, l’ostacolo maggiore a Dio-Amore è proprio la vita di coloro che accumulano azioni, opere, mentre Dio vorrebbe il loro cuore.
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.”
Con queste parole Gesù invita te ad avere, nei confronti del peccatore, lo stesso amore senza misura che il Padre ha per lui. Gesù ti chiama a non giudicare secondo la tua misura l’amore che il Padre ha per qualsiasi persona. Invitando il figlio maggiore a condividere la sua gioia per il figlio ritrovato, il Padre chiede anche a te un cambiamento di mentalità: devi in pratica accogliere come fratelli e sorelle anche quegli uomini e donne verso i quali nutriresti soltanto sentimenti di disprezzo e di superiorità. Ciò provocherà in te una vera conversione, perché ti purifica dalla convinzione di essere più bravo, ti fa evitare l’intolleranza religiosa e ti fa accogliere la salvezza, che Gesù ti ha procurato, come puro dono dell’amore di Dio.
Meditazione di Chiara Lubich
«Ecco, io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,9).
È questo un versetto del Salmo 40, che l'autore della lettera agli Ebrei mette sulle labbra del Figlio di Dio in dialogo con il Padre. L'autore vuole sottolineare in questo modo l'amore con il quale il Figlio di Dio si è fatto uomo per compiere l'opera della redenzione in obbedienza alla volontà del Padre.
Queste parole fanno parte di un contesto nel quale l'autore vuole dimostrare l'infinita superiorità del sacrificio di Gesù rispetto ai sacrifici dell'antica Legge. A differenza di questi ultimi, nei quali venivano offerti a Dio come vittime di animali o, comunque, cose esterne all'uomo, Gesù, spinto da un immenso amore, durante la sua vita terrena ha offerto al Padre la propria volontà, tutto sé stesso.
«Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Questa Parola ci offre la chiave di lettura della vita di Gesù, aiutandoci a coglierne l'aspetto più profondo e il filo d'oro che lega tutte le tappe della sua esistenza terrena: la sua infanzia, la sua vita nascosta, le tentazioni, le sue scelte, la sua attività pubblica, fino alla morte sulla croce. In ogni istante, in ogni situazione Gesù ha cercato una cosa sola: compiere la volontà del Padre; e l'ha compiuta in modo radicale, non facendo nulla fuori di essa e rifiutando anche le proposte più suggestive che non fossero in pieno accordo con quella volontà.
«Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Questa Parola ci fa comprendere la grande lezione a cui mirava tutta la vita di Gesù. E cioè che la cosa più importante è il compiere non già la nostra, ma la volontà del Padre; renderci capaci di dire di no a noi stessi per dire di sì a lui.
Il vero amore a Dio non consiste nelle belle parole, idee e sentimenti, ma nell'obbedienza effettiva ai suoi comandamenti. Il sacrificio di lode, che egli si aspetta da noi, è l'offerta amorosa fatta a lui di ciò che abbiamo di più intimo, di ciò che più ci appartiene: la nostra volontà.
«Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Come vivremo allora la Parola di Vita di questo mese? Anche questa è una delle parole che mette più in evidenza l'aspetto controcorrente del Vangelo, in quanto si contrappone alla nostra tendenza più radicata: cercare la nostra volontà, seguire i nostri istinti, i nostri sentimenti.
Questa Parola è anche una delle più urtanti per l'uomo moderno. Viviamo nell'epoca dell'esaltazione dell'io, dell'autonomia della persona, della libertà come fine a sé stessa, dell'autosoddisfazione come realizzazione dell'individuo, del piacere considerato come il criterio delle proprie scelte ed il segreto della felicità. Ma conosciamo anche le conseguenze disastrose a cui questa cultura conduce.
Orbene, a questa cultura fondata sulla ricerca della propria volontà, si contrappone quella di Gesù, totalmente orientata al compimento della volontà di Dio, con gli effetti meravigliosi che egli ci assicura.
Cercheremo allora di vivere la Parola di questo mese scegliendo anche noi la volontà del Padre, facendone cioè, come ha fatto Gesù, la norma e il movente di tutta la nostra vita.
Ci avventureremo verso una divina avventura di cui saremo eternamente grati a Dio. Per essa ci faremo santi e irradieremo l'amore di Dio in molti cuori.
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2)
Ci troviamo nella seconda parte della lettera di san Paolo ai Romani, dove l’apostolo ci descrive l’agire cristiano come espressione della nuova vita, del vero amore, della vera gioia, della vera libertà, che Cristo ci ha donato; è la vita cristiana come nuovo modo di affrontare, con la luce e la forza dello Spirito Santo, i vari compiti e problemi di fronte ai quali possiamo venirci a trovare.
In questo versetto, strettamente legato al precedente, l’apostolo enuncia lo scopo e l’atteggiamento di fondo che dovrebbero caratterizzare ogni nostro comportamento: fare della nostra vita una lode a Dio, un atto di amore disteso nel tempo, nella costante ricerca della sua volontà, di ciò che gli è più gradito.
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”
E’ evidente che, per compiere la volontà di Dio, occorre innanzitutto conoscerla. Ma, ci lascia capire l’apostolo, questo non è facile. Non è possibile conoscere bene la volontà di Dio senza una luce particolare, la quale ci aiuti a discernere nelle varie situazioni quello che Dio vuole da noi, evitando le illusioni e gli errori in cui potremmo facilmente cadere.
Si tratta di quel dono dello Spirito Santo, che si chiama “discernimento” e che è indispensabile per costruire in noi un’autentica mentalità cristiana.
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”
Ma come acquistare e sviluppare in noi questo dono così importante? Senza dubbio si richiede da parte nostra una buona conoscenza della dottrina cristiana. Ma non basta. Come ci suggerisce l’apostolo, è soprattutto una questione di vita; è una questione di generosità, di slancio nel vivere la parola di Gesù, mettendo da parte le paure, le incertezze e i calcoli mediocri. E’ una questione di disponibilità e di prontezza a compiere la volontà di Dio. E’ questa la via per avere la luce dello Spirito Santo e costruire in noi la nuova mentalità che qui ci viene chiesta.
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”
Come vivremo allora la Parola di Vita di questo mese? Cercando di meritare anche noi quella luce che è necessaria per compiere bene la volontà di Dio.
Ci proporremo allora di conoscere sempre meglio la sua volontà così come ci viene espressa dalla sua Parola, dagli insegnamenti della Chiesa, dai doveri del nostro stato, ecc.
Ma soprattutto punteremo sulla vita, giacché, come si è appena visto, è dalla vita, è dall’amore che scaturisce la vera luce. Gesù si manifesta a chi lo ama, mettendo in pratica i suoi comandamenti (cf Gv 14,21).
Riusciremo così a compiere la volontà di Dio come il dono più bello che gli possiamo offrire. E questo gli sarà gradito non soltanto per l’amore che potrà esprimere, ma anche per la luce ed i frutti di rinnovamento cristiano che susciterà attorno a noi.
Chiara Lubich
Tutto il mondo risuona ancora della gioia e della festa della Chiesa per l'elevazione all'onore degli altari di un papa amatissimo: Karol Woytila, il beato Giovanni Paolo II. Un grande papa, di grande fede e grande spiritualità, che ha fondato la sua forza nella preghiera. Un papa mariano, innamorato di Maria e a Lei totalmente consacrato. Un papa che ha subìto un attentato mortale, il 13 maggio 1981 (festa della Madonna di Fatima), che ha avuta salva la vita per un miracolo della Santissima Vergine, e che ha avuto la forza di perdonare colui che lo avrebbe ucciso: un doppio miracolo d'amore e di perdono! Un papa che ha pubblicamente consacrato tutta la Chiesa al Cuore Immacolato di Maria con un atto di affidamento contenente le seguenti stupende parole:
"Accogli, o Madre di Cristo, questo grido carico della sofferenza di tutti gli uomini! Carico della sofferenza di intere società! Aiutaci con la forza dello Spirito Santo a vincere tutti i peccati: il peccato dell’uomo e il “peccato del mondo”, infine il peccato in tutte le sue manifestazioni. Che si riveli, ancora una volta, nella storia del mondo l’infinita potenza salvifica della Redenzione: la forza infinita dell’Amore misericordioso! Che esso fermi il male! Che esso trasformi le coscienze! Che si manifesti per tutti, nel Tuo Cuore Immacolato, la luce della Speranza!"
Alcuni amici del nostro blog ci hanno chiesto di esprimere un pensiero riguardante la morte di Bin Laden. Non è consuetudine del blog commentare gli eventi di cronaca, se non eccezionalmente: accettiamo oggi l'invito, riproducendo semplicemente le opinioni più autorevoli apparse sulla stampa e che noi condividiamo in pieno.
Enzo Bianchi, “Ma fare festa è sbagliato” (La Stampa, 3 maggio 2011)
“Giustizia è fatta!” ha proclamato il presidente degli Stati Uniti nell’annunciare al suo paese e al mondo che Osama Bin Laden è stato ucciso. Confesso che i sentimenti che mi abitano come cristiano e come cittadino di un paese che non contempla nel proprio ordinamento la pena di morte sono contrastati. Da un lato c’è la soddisfazione legata alla uscita di scena di una persona che, per sua stessa ammissione, ha seminato morte e odio, ha avvelenato la comprensione della religione, usandola come droga per esaltare la violenza, ha inquinato mortalmente la convivenza civile e i rapporti sociali, a livello locale e planetario.
D’altro canto il vangelo, ma anche la mia coscienza umana, non mi autorizzano a rallegrarmi per la morte di un essere umano, fosse anche il più malvagio sulla terra, fosse anche il nemico mortale che ha attentato alla vita delle persone più care. Non si tratta di evocare l’esortazione cristiana al perdono – argomento su cui a lungo si è riflettuto dopo l’epifania del male assoluto nei campi di sterminio nazisti – ma di riconoscere con gravità e amarezza che la morte di una persona non è mai motivo di gioia: forse di sollievo, perché ormai quel malvagio non potrà più nuocere, anche se il seme dell’odio gettato non smette per questo di crescere; forse è fonte di appagamento di quel desiderio di vendetta che abbiamo vergogna di confessare e che ci affrettiamo a nobilitare con il termine di giustizia; forse è occasione di rinnovato rimpianto per le vittime della violenza omicida e per non aver saputo fermare prima quello strumento di morte. Ma gioia no, quella non l’ho sentita nascere in me nell’apprendere la notizia dell’uccisione di Bin Laden e non vorrei vederla sul volto di un altro uomo, un uomo come me, un uomo come lo era Bin Laden. Come cristiano penso a Bin Laden ora in giudizio davanti a Dio: quel Dio il cui nome ha bestemmiato per seminare morte e predicare la guerra, quel Dio creatore degli uomini e protettore della vita cui ha dato un volto perverso e mortifero.
E mi è anche difficile fare mie le parole del presidente Obama: “Giustizia è fatta!”. E non perché ritenga che l’unica giustizia sia quella divina, che il giudizio autentico sia solo quello che ci attende tutti al cospetto di Dio. Ma perché rimango convinto che ogni essere umano è e resta più grande delle sue colpe, anche quando queste sono spropositate. D’altronde anche la rivelazione biblica e cristiana afferma riguardo all’immagine di Dio impressa in ogni essere umano: l’omicida può smarrire la somiglianza con Dio, ma non può perdere quell’immagine che Dio stesso ha voluto consegnare a ogni creatura umana, Caino compreso.
Ma anche della giustizia umana ho un concetto che non mi consente di vederla realizzata nell’uccisione mirata di un pluriassassino: la cattura, il giusto processo, la messa in condizione di non nuocere di un criminale non richiedono necessariamente la sua soppressione fisica e non traggono da questa maggiore autorevolezza o efficacia. Sopprimere l’ingiusto non è ancora fare giustizia: perché giustizia, anche umana, sia fatta, a ciascuno di noi resta un compito che nessuna arma né squadra speciale può svolgere per conto nostro. Resta la vicinanza e la solidarietà con i parenti delle vittime della sua barbarie umana, resta il contrastare nel quotidiano le energie di morte che l’assassino ha scatenato, resta la ricostruzione di un tessuto umano e sociale vivibile, resta il rifiuto di rispondere al male con il male, resta la costruzione della pace con gli strumenti della pace, resta di proseguire tenacemente nell’operare ciò che è giusto. Davvero non basta che un malvagio sia annientato perché giustizia sia fatta.
Pasquale Ferrara, Non è ancora finita (Città nuova on line, 2 maggio 2011)
L’annuncio della fine del capo di Al Qaeda non vuol dire che il terrorismo di matrice islamista sia stato sconfitto definitivamente. Fuori luogo esultare per la morte di un uomo.
L’uccisione di Osama Bin laden è un duro colpo ad Al Qaeda, ma non rappresenta certo la sconfitta definitiva del terrorismo transnazionale che fa capo a tale organizzazione. Nel corso del decennio successivo agli attentati dell’11 settembre 2001, Al Qaeda si è trasformata, è diventata un network di piccole cellule sparse sul globo, che fanno un uso spregiudicato di Internet. Il modello “occidentale” è quello del franchising. Si conferma, inoltre, quello che molti analisti e commentatori hanno sempre pensato, e cioè che la vasta area compresa tra i confini di Pakistan e Afghanistan (al di qua e al di là della famosa Durand line), è un territorio di coltura del terrorismo islamista e ove si compie la saldatura tra alcune frange dei talebani e Al Qaeda. Come dire che le chiavi della stabilità e della transizione politica in Afghanistan stanno in Pakistan.
L’uccisione di Bin laden avrà ripercussioni profonde a livello globale. Da una parte, essa indubbiamente “scoraggia” le formazioni islamiste dedite al terrorismo (una sparuta e deleteria minoranza in tutto il vasto mondo islamico), dall’altro potrebbe fungere – ma speriamo non accada – da ulteriore elemento di polarizzazione e radicalizzazione contro l’Occidente. Dal punto di vista statunitense, è una vittoria di Obama. Qualcuno potrebbe cinicamente ritenere che si tratta di un enorme e insperato aiuto alla campagna per la sua rielezione alla Casa Bianca. Ma Obama ha fatto bene, nelle ore successive all’incursione in Pakistan, ad evitare toni eccessivamente trionfalistici e a ribadire che l’America non è contro l’Islam, bensì contro le centrali del terrorismo internazionale.
Non aiutano, tuttavia, le scene di giubilo che si sono viste nelle strade americane. Si comprende il dolore immenso dei familiari delle vittime dell’11 settembre, ma non bisogna oltrepassare il fragile confine tra la giustizia e la vendetta. La morte di un uomo, per quanto efferati i crimini commessi, non può mai essere motivo di celebrazione.
Il dibattito su quale fosse il primo tra i tanti comandamenti delle Scritture era un tema classico che le scuole rabbiniche si ponevano al tempo di Gesù. Gesù, considerato un maestro, non elude la domanda che gli viene posta in proposito: "Qual è il più grande comandamento della legge?". Egli risponde in maniera originale, unendo amore di Dio e amore del prossimo. I suoi discepoli non possono mai disgiungere questi due amori, come in un albero non si possono separare le radici dalla chioma: più amano Dio, più intensificano l’amore ai fratelli e alle sorelle; più amano i fratelli e le sorelle, più approfondiscono l’amore per Dio.
Gesù sa, come nessun altro, chi è veramente il Dio che dobbiamo amare e sa come debba essere amato: è il Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro (cf Gv 20,17). È un Dio che ama ciascuno personalmente; ama me, ama te: è il mio Dio, il tuo Dio (“Amerai il Signore Dio tuo”).
E noi possiamo amarlo perché ci ha amato per primo: l’amore che ci è comandato è, dunque, una risposta all’Amore. Possiamo rivolgerci a Lui con la stessa confidenza e fiducia che aveva Gesù quando lo chiamava Abbà, Padre. Anche noi, come Gesù, possiamo parlare spesso con Lui, esponendogli tutte le nostre necessità, i propositi, i progetti, ridicendogli il nostro amore esclusivo. Anche noi vogliamo attendere con impazienza che arrivi il momento per metterci in contatto profondo con Lui mediante la preghiera, che è dialogo, comunione, intenso rapporto d’amicizia. In quei momenti possiamo dare sfogo al nostro amore: adorarlo al di là del creato, glorificarlo presente ovunque nell’universo intero, lodarlo nel fondo del nostro cuore o vivo nei tabernacoli, pensarlo lì dove siamo, nella stanza, al lavoro, nell’ufficio, mentre ci troviamo con gli altri…
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente."
Gesù ci insegna anche un altro modo d’amare il Signore Dio. Per Gesù amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre (cf Gv 1,18), sempre nel Padre, sempre intento a dire solo quello che aveva udito dal Padre, a compiere solo quanto il Padre gli aveva detto di fare. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere: “con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Perché l’amore non è un sentimento soltanto. “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?” (Lc 6,46), domanda Gesù a chi ama soltanto a parole.
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.”
Come vivere allora questo comando di Gesù? Intrattenendo senz'altro con Dio un rapporto filiale e di amicizia, ma soprattutto facendo quello che Lui vuole. Il nostro atteggiamento verso Dio, come quello di Gesù, sarà essere sempre rivolti verso il Padre, in ascolto di Lui, in obbedienza, per compiere la sua opera, solo quella e non altro.
Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente. E ciò significa fare bene, per intero, quell’azione che Lui ci chiede.
Per vivere la sua volontà e uniformarsi ad essa, spesso occorrerà bruciare la nostra, sacrificando tutto ciò che abbiamo in cuore o nella mente, che non riguarda il presente. Può essere un’idea, un sentimento, un pensiero, un desiderio, un ricordo, una cosa, una persona…
E così eccoci tutti lì in quanto ci viene domandato nell’attimo presente. Parlare, telefonare, ascoltare, aiutare, studiare, pregare, mangiare, dormire, vivere la sua volontà senza divagare; fare azioni intere, pulite, perfette, con tutto il cuore, l’anima, la mente; avere come unico movente di ogni nostra azione l’amore, così da poter dire, in ogni momento della giornata: “Sì, mio Dio, in quest’attimo, in quest’azione t’ho amato con tutto il cuore, con tutta me stessa”. Solo così potremo dire che amiamo Dio, che contraccambiamo il suo essere Amore nei nostri confronti.
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.”
Per vivere questa Parola di vita sarà utile, di tempo in tempo, analizzare noi stessi per vedere se Dio è veramente al primo posto nella nostra anima.
E allora, per concludere, cosa dobbiamo fare in questo mese? Scegliere nuovamente Dio come unico ideale, come il tutto della nostra vita, rimettendolo al primo posto, vivendo con perfezione la sua volontà nell’attimo presente. Dobbiamo potergli dire con sincerità: “Mio Dio e mio tutto”, “Ti amo”, “Sono tutta tua”, “Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio d’amore infinito!”.