sabato 3 gennaio 2015

Iniziamo un nuovo anno "luciano"... in bellezza

SANTA LUCIA NELL'ARTE: CAPOLAVORI PITTORICI A SIRACUSA

Come vi abbiamo già annunciato allo scoccare dell'anno 2015 appena iniziato, per vivere intensamente il grato ricordo dell'evento eccezionale accaduto a Siracusa nello scorso dicembre con la seconda visita delle Sacre Spoglie di S. Lucia, continueremo a celebrare solennemente la viva memoria della nostra Patrona nella sua e nostra città con grandi novità!
Anche il 2015 è una data importante, per la storia del culto in onore di S. Lucia: ricorre infatti il 280° anniversario del prodigioso sudore del simulacro marmoreo di S. Lucia Dormiente e della liberazione di Siracusa dalla guerra tra Austriaci e Spagnoli nel 1735, grazie all'intervento miracolo della nostra Protettrice, che lasciò inesploso l'ordigno caduto nella casa del generale Orsini. 


Col cuore colmo di gioia per aver contemplato le meraviglie di Dio nel corpo santo di Lucia, straziato dal martirio, possiamo ancora per alcuni giorni ammirare il volto celestiale della nostra amata Concittadina visitando alcune mostre a lei dedicate: "I volti di Lucia" nel Museo Bellomo di Siracusa, e "Il volto di Lucia" nel Museo Tempo di Canicattini Bagni (in provincia di Siracusa).


Intanto, sul nostro blog, pubblichiamo anche noi una piccola "mostra" fotografica che riproduce alcune fra le splendide opere d'arte pittorica a soggetto luciano che sono conservate nelle stupende chiese storiche della nostra città! Viva S. Lucia!




giovedì 1 gennaio 2015

PAROLA DI VITA - GENNAIO 2015

Carissimi amici, auguri di ogni bene per il 2015 appena iniziato... e per tutta la vita!
Riprendiamo le nostre "classiche" rubriche a cadenza regolare, da voi tanto apprezzate e attese: oggi, primo giorno del mese, vi proponiamo dunque la meditazione mensile sulla Parola di Dio, sull'esempio di Maria Santissima Madre di Dio, che oggi celebriamo solennemente, e di Santa Lucia, che meditavano assiduamente le Sacre Scritture custodendole nel cuore!

«Le dice Gesù: “Dammi da bere”» (Gv 4,7)
Gesù lascia la regione della Giudea diretto in Galilea. La strada lo porta ad attraversare la Samaria. A metà giornata, sotto il sole, stanco del cammino, si siede al pozzo che il patriarca Giacobbe aveva costruito 1700 anni prima. Ha sete, ma non ha un secchio per attingere l’acqua. Il pozzo è profondo, 35 metri, come si può vedere anche ai nostri giorni.
I discepoli sono andati in paese a comprare qualcosa da mangiare. Gesù è rimasto solo. Arriva una donna con una brocca e lui, con semplicità, le domanda da bere. E’ una richiesta che va contro le usanze del tempo: un uomo non si rivolge direttamente a una donna, soprattutto se è una sconosciuta. Inoltre tra Giudei e Samaritani vi sono divisioni e pregiudizi religiosi: Gesù è giudeo e la donna una samaritana. Il dissidio, e persino l’odio, tra i due popoli ha radici profonde, di origini storiche, politiche. Vi è un ulteriore steccato tra lui e lei, di tipo morale: la samaritana ha avuto più uomini e vive in situazione irregolare. Forse è per questo che non viene ad attingere acqua con le altre donne al mattino o alla sera, ma in un’ora insolita come quella, a mezzogiorno: per evitare i loro commenti.
Gesù non si lascia condizionare da nessun tipo di barriera e apre il dialogo con la straniera. Vuole entrare nel suo cuore e le chiede:
“Dammi da bere”
Ha in serbo un dono per lei, il dono di un’acqua viva. «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me», lo sentiremo gridare più tardi nel tempio di Gerusalemme (7,37). L’acqua è essenziale per ogni tipo di vita e appare tanto più preziosa in ambienti aridi come nella Palestina. Quella che Gesù vuole donare è un’acqua “viva”, a simboleggiare la rivelazione di un Dio che è Padre ed è amore, lo Spirito Santo, la vita divina che egli è venuto a portare. Tutto quanto egli dona è vivo e per la vita: lui stesso è il pane “vivo” (cf 6,51ss), è la Parola che dà la vita (cf 5,25), è semplicemente la Vita (cf 11, 25-26). Sulla croce, ci dirà ancora Giovanni che ne era testimone, quando uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia, « subito ne uscì sangue e acqua» (19,34): è il dono estremo e totale di sé.
Ma Gesù non impone. Non la rimprovera neppure per la sua convivenza irregolare. Lui che tutto può dare, chiede, perché realmente ha bisogno del dono di lei:
“Dammi da bere”
Chiede perché è stanco, ha sete. Lui, il Signore della vita, si fa mendicante, senza nascondere la sua reale umanità.
Chiede anche perché sa che se l’altra dona, ella potrà aprirsi più facilmente ed essere pronta ad accogliere a sua volta.
Da questa richiesta inizia un colloquio fatto di argomentazioni, fraintendimenti, approfondimenti al termine del quale Gesù può rivelare la propria identità. Il dialogo ha fatto crollare le barriere di difesa e ha portato alla scoperta della verità, l’acqua che egli è venuto a portare. La donna lascia ciò che in quel momento ha di più prezioso, la sua brocca, perché ha trovato ben altra ricchezza, e corre in città per iniziare a sua volta un dialogo con i vicini. Anche lei non impone, ma narra l’accaduto, comunica la propria esperienza e pone l’interrogativo sulla persona incontrata, che le ha chiesto:
“Dammi da bere”
In questa pagina di Vangelo mi pare di cogliere un insegnamento per il dialogo ecumenico di cui ogni anno, in questo mese, ci viene ricordata l’urgenza. La “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ci fa prendere coscienza della divisione scandalosa tra le Chiese che continua da troppi anni e ci invita ad accelerare i tempi di una comunione profonda che superi ogni barriera, così come Gesù ha superato le fratture tra Giudei e Samaritani.
Quella tra cristiani è soltanto una delle tante disunità che ci lacerano negli ambiti più vari, fatte di malintesi, dissidi in famiglia o nel condominio, tensioni sul lavoro, rancori verso gli immigrati. Le barriere che spesso ci dividono possono essere di tipo sociale, politico, religioso, o semplicemente frutto di diverse abitudini culturali che non sappiamo accettare. Sono quelle che scatenano i conflitti tra nazioni ed etnie, ma anche l’ostilità nel nostro quartiere. Non potremmo, come Gesù, aprirci all’altro, superando diversità e pregiudizi? Perché non ascoltare, al di là dei modi con cui può essere formulata, la richiesta di comprensione, di aiuto, di un po’ di attenzione? Anche in chi è di parte avversa o di altra estrazione culturale, religiosa, sociale, si nasconde un Gesù che si rivolge a noi e ci chiede:
“Dammi da bere”
Viene spontaneo ricordare un’altra parola simile di Gesù, pronunciata sulla croce, sempre testimoniata dal Vangelo di Giovanni: «Ho sete» (19,28). E’ la necessità primordiale, espressione di ogni altra necessità. In ogni persona bisognosa, disoccupata, sola, straniera, sia pure di un altro credo o convinzione religiosa, sia pure ostile, possiamo riconoscere Gesù che ci dice: “Ho sete” e che ci chiede: “Dammi da bere”. Basta offrire un bicchiere d’acqua, dice il Vangelo, per averne una ricompensa (cf Mt 10,42), per avviare quel dialogo che ricompone la fraternità.
Anche noi, a nostra volta, possiamo esprimere le nostre necessità, senza vergognarci di “avere sete” e chiedere a nostra volta: “Dammi da bere”. Potrà così iniziare un dialogo sincero e una comunione concreta, senza paura della diversità, del rischio della condivisione del nostro pensiero e dell’accoglienza di quello dell’altro. Facendo leva soprattutto sulle potenzialità di chi abbiamo di fronte, sui suoi valori presenti anche se nascosti, come ha fatto Gesù che ha saputo riconoscere nella donna qualcosa che lui non poteva fare, attingere acqua.
Fabio Ciardi