venerdì 17 ottobre 2008

La poesia di un innamorato di S. Lucia - I parte


«Con la tua verginità e il tuo martirio profumi l’universo».
Il canone di S. Bartolomeo in onore di S. Lucia

Affacciandosi dai colli dei Castelli Romani, al crepuscolo, migliaia di luci si accendono all’orizzonte, segnalando la grandiosa presenza di Roma ai propri piedi, che si distende immensa giù a valle: siamo nel territorio dell’antica città latina di Tusculum, tra i resti della villa di Cicerone e le catacombe ad decimum, precisamente a Grottaferrata. La località deve il suo nome ad una crypta ferrata, cioè una piccola grotta - antichissima - con una grata di ferro al suo ingresso. Da questa modesta cameretta eponima si è dipanata una lunga storia: intorno ad essa, nel 1004, l'abate calabrese S. Nilo costruì un'abbazia per accogliere la numerosissima comunità di monaci di lui appena fondata. Il 17 dicembre 1024, poi, il papa Giovanni XIX consacrò a Maria Theotokos (Madre di Dio) la basilica del monastero, eretta proprio su quella prima grotta. La comunità di questi monaci di provenienza italo-greca è tuttora vivente e, resistendo tenacemente agli impetuosi venti scismatici che ruppero l'unità tra cristiani d'Oriente e d'Occidente, mantiene intatte da sempre le sue peculiarità: da un lato la confessione cattolica e la piena fedeltà alla Chiesa romana, dall'altro la spiritualità del monachesimo orientale e il rito bizantino (oggi officiato sia in greco che in italiano).
Qui visse S. Bartolomeo, detto “il giovane” per distinguerlo da altri santi omonimi (primo fra tutti l’apostolo di Gesù). Nato a Rossano Calabro (Cosenza) nel X secolo, divenne monaco, discepolo prediletto di S. Nilo, confondatore dell’abbazia di Grottaferrata e suo egumeno (cioè abate) dopo la morte del maestro. Bartolomeo si dedicò alla copiatura di numerosi codici pergamenacei nel laborioso scriptorium sorto in seno all’abbazia, compose la biografia di S. Nilo, il typikon (regolamento liturgico) proprio del monastero criptense (parzialmente riformato dall’abate Biagio II nel 1300) e in particolare primeggiò tra gli altri confratelli nella creazione di componimenti poetici e musicali da destinare all’ufficiatura con la quale venivano scandite le ore diurne e notturne della vita quotidiana del suo cenobio. Bartolomeo seguì così l’esempio delle celebri scuole innografiche bizantine dei secoli immediatamente precedenti, che ebbero come centri di propulsione Gerusalemme (scuola sabaitica, in cui si distinsero S. Andrea di Creta e S. Giovanni Damasceno), Costantinopoli (scuola studita, in cui si distinsero S. Romano il Melode e S. Teodoro Studita) e l’Italia meridionale (scuola calabro-sicula, in cui si distinsero soprattutto diversi siracusani, tra i quali S. Giuseppe l’Innografo e il patriarca di Costantinopoli S. Metodio). Per esprimere in modo significativo il notevole talento poetico di Bartolomeo, egli venne ben presto rassomigliato proprio al nostro concittadino Giuseppe, invero sempre universalmente riconosciuto come uno tra i maggiori poeti sacri bizantini (appunto “l’Innografo” per antonomasia).
Molti inni composti – ovviamente in greco – da Bartolomeo sono tramandati in alcuni manoscritti ancora oggi conservati nella biblioteca dell’abbazia, nel frattempo divenuta Biblioteca Nazionale e ormai direttamente dipendente dal Ministero dei Beni culturali e librari: tra di essi, vi è anche un meraviglioso inno in onore di S. Lucia appartenente al genere poetico-musicale del canone. Il canone è una forma innografica tipica dell’ufficio di rito bizantino, generalmente eseguita durante l’orthros (mattutino), più raramente durante l’apodeipnon (compieta) o il mesonyktikon (ufficio di mezzanotte), ed è costituito da 9 sezioni dette odi, a loro volta formate da un numero variabile di tropari (strofe) eseguiti tutti sulla medesima melodia del primo di ogni ode, detto irmo (modello metrico-ritmico-melodico). L’origine dei canoni risiede nel desiderio di protrarre la meditazione dei cantici biblici durante la preghiera liturgica attraverso il canto di componimenti poetici originali che fungessero da commento ai cantici stessi e possibilmente li armonizzassero con le tematiche della ricorrenza liturgica del giorno. I 9 cantici biblici che ispirarono la composizione dei canoni innografici sono tutti tratti dall’Antico Testamento (precisamente: Esodo 15,1-19; Deuteronomio 32,1-43; 1 Re 2,1-10; Abacuc 3,2-19; Isaia 26,9-20; Giona 2,3-10; Daniele 3,26-56; Daniele 3,57-88) ad esclusione dell’ultimo, che è l’unico tratto dal Nuovo Testamento, cioè il Magnificat o cantico della Madre di Dio (Luca 1,47-55) immediatamente unito al Benedictus o cantico di Zaccaria (Luca 1,68-79). (continua)

© 2008 - Carlo Fatuzzo, per "Amici di Santa Lucia"

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