domenica 22 maggio 2011

2011: un mese mariano speciale, col beato papa Woytila







IL VERO GIOVANNI PAOLO II



Tutto il mondo risuona ancora della gioia e della festa della Chiesa per l'elevazione all'onore degli altari di un papa amatissimo: Karol Woytila, il beato Giovanni Paolo II. Un grande papa, di grande fede e grande spiritualità, che ha fondato la sua forza nella preghiera. Un papa mariano, innamorato di Maria e a Lei totalmente consacrato. Un papa che ha subìto un attentato mortale, il 13 maggio 1981 (festa della Madonna di Fatima), che ha avuta salva la vita per un miracolo della Santissima Vergine, e che ha avuto la forza di perdonare colui che lo avrebbe ucciso: un doppio miracolo d'amore e di perdono! Un papa che ha pubblicamente consacrato tutta la Chiesa al Cuore Immacolato di Maria con un atto di affidamento contenente le seguenti stupende parole:


"Accogli, o Madre di Cristo, questo grido carico della sofferenza di tutti gli uomini! Carico della sofferenza di intere società! Aiutaci con la forza dello Spirito Santo a vincere tutti i peccati: il peccato dell’uomo e il “peccato del mondo”, infine il peccato in tutte le sue manifestazioni. Che si riveli, ancora una volta, nella storia del mondo l’infinita potenza salvifica della Redenzione: la forza infinita dell’Amore misericordioso! Che esso fermi il male! Che esso trasformi le coscienze! Che si manifesti per tutti, nel Tuo Cuore Immacolato, la luce della Speranza!"

mercoledì 18 maggio 2011

Al beato Giovanni Paolo II




Anche la nostra redazione ha ricordato con grata e viva memoria il papa Giovanni Paolo II, seguendo la Sua beatificazione, celebrata dal Santo Padre Benedetto XVI lo scorso 1° maggio, domenica della Divina Misericordia e principio del mese che tradizionalmente è dedicato a Maria Santissima, della quale il Beato era devotissimo e al quale ha consacrato totalmente se stesso e il proprio pontificato. Più volte lo abbiamo menzionato nel nostro blog, soprattutto a proposito della Sua storica e memorabile visita a Siracusa il 5 e 6 novembre 1994. Per ben tre volte egli ricordò la nostra Santa Lucia nei Suoi discorsi destinati a quella visita: nel saluto alla città La ricordò come intrepida testimone della fede in Cristo fino al martirio, nel discorso ai giovani come protettrice della vista e in quello ai religiosi come Santa della Luce. E ancora, indimenticabile fu la Sua visita alla Cappella della Patrona in Cattedrale, nella quale sostò lungamente in preghiera baciandone le reliquie e interessandosi sinceramente alla storia della Santa. E poi, come dimenticare il Suo spontaneo e immediato pensiero a Santa Lucia manifestato personalmente al nostro arcivescovo emerito mons. Giuseppe Costanzo in occasione del pellegrinaggio diocesano alla basilica di S. Pietro nell'aprile 1995.




Concludiamo questo piccolo ricordo di questo grande papa, oggi che ricorre l'anniversario della sua nascita (18 maggio 1920) e al cuore di questo mese mariano, con la bellissima preghiera che il Beato compose e recitò a Siracusa per la dedicazione del nuovo Santuario alla Madonna delle Lacrime:


Madonna delle lacrime,

guarda con materna bontà

al dolore del mondo.

Asciuga le lacrime dei sofferenti,

dei dimenticati,

dei disperati,

delle vittime di ogni violenza.

Ottieni a tutti

lacrime di pentimento e di vita nuova,

che aprano i cuori

al dono rigenerante dell'amore di Dio.

Ottieni a tutti lacrime di gioia,

dopo aver visto

la profonda tenerezza del Tuo Cuore.

Amen.

mercoledì 4 maggio 2011

... Che ne pensa la redazione?

Alcuni amici del nostro blog ci hanno chiesto di esprimere un pensiero riguardante la morte di Bin Laden. Non è consuetudine del blog commentare gli eventi di cronaca, se non eccezionalmente: accettiamo oggi l'invito, riproducendo semplicemente le opinioni più autorevoli apparse sulla stampa e che noi condividiamo in pieno.



Enzo Bianchi, “Ma fare festa è sbagliato” (La Stampa, 3 maggio 2011)


“Giustizia è fatta!” ha proclamato il presidente degli Stati Uniti nell’annunciare al suo paese e al mondo che Osama Bin Laden è stato ucciso. Confesso che i sentimenti che mi abitano come cristiano e come cittadino di un paese che non contempla nel proprio ordinamento la pena di morte sono contrastati. Da un lato c’è la soddisfazione legata alla uscita di scena di una persona che, per sua stessa ammissione, ha seminato morte e odio, ha avvelenato la comprensione della religione, usandola come droga per esaltare la violenza, ha inquinato mortalmente la convivenza civile e i rapporti sociali, a livello locale e planetario.


D’altro canto il vangelo, ma anche la mia coscienza umana, non mi autorizzano a rallegrarmi per la morte di un essere umano, fosse anche il più malvagio sulla terra, fosse anche il nemico mortale che ha attentato alla vita delle persone più care. Non si tratta di evocare l’esortazione cristiana al perdono – argomento su cui a lungo si è riflettuto dopo l’epifania del male assoluto nei campi di sterminio nazisti – ma di riconoscere con gravità e amarezza che la morte di una persona non è mai motivo di gioia: forse di sollievo, perché ormai quel malvagio non potrà più nuocere, anche se il seme dell’odio gettato non smette per questo di crescere; forse è fonte di appagamento di quel desiderio di vendetta che abbiamo vergogna di confessare e che ci affrettiamo a nobilitare con il termine di giustizia; forse è occasione di rinnovato rimpianto per le vittime della violenza omicida e per non aver saputo fermare prima quello strumento di morte. Ma gioia no, quella non l’ho sentita nascere in me nell’apprendere la notizia dell’uccisione di Bin Laden e non vorrei vederla sul volto di un altro uomo, un uomo come me, un uomo come lo era Bin Laden. Come cristiano penso a Bin Laden ora in giudizio davanti a Dio: quel Dio il cui nome ha bestemmiato per seminare morte e predicare la guerra, quel Dio creatore degli uomini e protettore della vita cui ha dato un volto perverso e mortifero.


E mi è anche difficile fare mie le parole del presidente Obama: “Giustizia è fatta!”. E non perché ritenga che l’unica giustizia sia quella divina, che il giudizio autentico sia solo quello che ci attende tutti al cospetto di Dio. Ma perché rimango convinto che ogni essere umano è e resta più grande delle sue colpe, anche quando queste sono spropositate. D’altronde anche la rivelazione biblica e cristiana afferma riguardo all’immagine di Dio impressa in ogni essere umano: l’omicida può smarrire la somiglianza con Dio, ma non può perdere quell’immagine che Dio stesso ha voluto consegnare a ogni creatura umana, Caino compreso.


Ma anche della giustizia umana ho un concetto che non mi consente di vederla realizzata nell’uccisione mirata di un pluriassassino: la cattura, il giusto processo, la messa in condizione di non nuocere di un criminale non richiedono necessariamente la sua soppressione fisica e non traggono da questa maggiore autorevolezza o efficacia. Sopprimere l’ingiusto non è ancora fare giustizia: perché giustizia, anche umana, sia fatta, a ciascuno di noi resta un compito che nessuna arma né squadra speciale può svolgere per conto nostro. Resta la vicinanza e la solidarietà con i parenti delle vittime della sua barbarie umana, resta il contrastare nel quotidiano le energie di morte che l’assassino ha scatenato, resta la ricostruzione di un tessuto umano e sociale vivibile, resta il rifiuto di rispondere al male con il male, resta la costruzione della pace con gli strumenti della pace, resta di proseguire tenacemente nell’operare ciò che è giusto. Davvero non basta che un malvagio sia annientato perché giustizia sia fatta.



Pasquale Ferrara, Non è ancora finita (Città nuova on line, 2 maggio 2011)


L’annuncio della fine del capo di Al Qaeda non vuol dire che il terrorismo di matrice islamista sia stato sconfitto definitivamente. Fuori luogo esultare per la morte di un uomo.


L’uccisione di Osama Bin laden è un duro colpo ad Al Qaeda, ma non rappresenta certo la sconfitta definitiva del terrorismo transnazionale che fa capo a tale organizzazione. Nel corso del decennio successivo agli attentati dell’11 settembre 2001, Al Qaeda si è trasformata, è diventata un network di piccole cellule sparse sul globo, che fanno un uso spregiudicato di Internet. Il modello “occidentale” è quello del franchising. Si conferma, inoltre, quello che molti analisti e commentatori hanno sempre pensato, e cioè che la vasta area compresa tra i confini di Pakistan e Afghanistan (al di qua e al di là della famosa Durand line), è un territorio di coltura del terrorismo islamista e ove si compie la saldatura tra alcune frange dei talebani e Al Qaeda. Come dire che le chiavi della stabilità e della transizione politica in Afghanistan stanno in Pakistan.


L’uccisione di Bin laden avrà ripercussioni profonde a livello globale. Da una parte, essa indubbiamente “scoraggia” le formazioni islamiste dedite al terrorismo (una sparuta e deleteria minoranza in tutto il vasto mondo islamico), dall’altro potrebbe fungere – ma speriamo non accada – da ulteriore elemento di polarizzazione e radicalizzazione contro l’Occidente. Dal punto di vista statunitense, è una vittoria di Obama. Qualcuno potrebbe cinicamente ritenere che si tratta di un enorme e insperato aiuto alla campagna per la sua rielezione alla Casa Bianca. Ma Obama ha fatto bene, nelle ore successive all’incursione in Pakistan, ad evitare toni eccessivamente trionfalistici e a ribadire che l’America non è contro l’Islam, bensì contro le centrali del terrorismo internazionale.


Non aiutano, tuttavia, le scene di giubilo che si sono viste nelle strade americane. Si comprende il dolore immenso dei familiari delle vittime dell’11 settembre, ma non bisogna oltrepassare il fragile confine tra la giustizia e la vendetta. La morte di un uomo, per quanto efferati i crimini commessi, non può mai essere motivo di celebrazione.

domenica 1 maggio 2011

PAROLA DI VITA - MAGGIO 2011



Il dibattito su quale fosse il primo tra i tanti comandamenti delle Scritture era un tema classico che le scuole rabbiniche si ponevano al tempo di Gesù. Gesù, considerato un maestro, non elude la domanda che gli viene posta in proposito: "Qual è il più grande comandamento della legge?". Egli risponde in maniera originale, unendo amore di Dio e amore del prossimo. I suoi discepoli non possono mai disgiungere questi due amori, come in un albero non si possono separare le radici dalla chioma: più amano Dio, più intensificano l’amore ai fratelli e alle sorelle; più amano i fratelli e le sorelle, più approfondiscono l’amore per Dio.


Gesù sa, come nessun altro, chi è veramente il Dio che dobbiamo amare e sa come debba essere amato: è il Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro (cf Gv 20,17). È un Dio che ama ciascuno personalmente; ama me, ama te: è il mio Dio, il tuo Dio (“Amerai il Signore Dio tuo”).


E noi possiamo amarlo perché ci ha amato per primo: l’amore che ci è comandato è, dunque, una risposta all’Amore. Possiamo rivolgerci a Lui con la stessa confidenza e fiducia che aveva Gesù quando lo chiamava Abbà, Padre. Anche noi, come Gesù, possiamo parlare spesso con Lui, esponendogli tutte le nostre necessità, i propositi, i progetti, ridicendogli il nostro amore esclusivo. Anche noi vogliamo attendere con impazienza che arrivi il momento per metterci in contatto profondo con Lui mediante la preghiera, che è dialogo, comunione, intenso rapporto d’amicizia. In quei momenti possiamo dare sfogo al nostro amore: adorarlo al di là del creato, glorificarlo presente ovunque nell’universo intero, lodarlo nel fondo del nostro cuore o vivo nei tabernacoli, pensarlo lì dove siamo, nella stanza, al lavoro, nell’ufficio, mentre ci troviamo con gli altri…


"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente."


Gesù ci insegna anche un altro modo d’amare il Signore Dio. Per Gesù amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre (cf Gv 1,18), sempre nel Padre, sempre intento a dire solo quello che aveva udito dal Padre, a compiere solo quanto il Padre gli aveva detto di fare. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere: “con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Perché l’amore non è un sentimento soltanto. “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?” (Lc 6,46), domanda Gesù a chi ama soltanto a parole.


"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.”


Come vivere allora questo comando di Gesù? Intrattenendo senz'altro con Dio un rapporto filiale e di amicizia, ma soprattutto facendo quello che Lui vuole. Il nostro atteggiamento verso Dio, come quello di Gesù, sarà essere sempre rivolti verso il Padre, in ascolto di Lui, in obbedienza, per compiere la sua opera, solo quella e non altro.


Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente. E ciò significa fare bene, per intero, quell’azione che Lui ci chiede.

Per vivere la sua volontà e uniformarsi ad essa, spesso occorrerà bruciare la nostra, sacrificando tutto ciò che abbiamo in cuore o nella mente, che non riguarda il presente. Può essere un’idea, un sentimento, un pensiero, un desiderio, un ricordo, una cosa, una persona…


E così eccoci tutti lì in quanto ci viene domandato nell’attimo presente. Parlare, telefonare, ascoltare, aiutare, studiare, pregare, mangiare, dormire, vivere la sua volontà senza divagare; fare azioni intere, pulite, perfette, con tutto il cuore, l’anima, la mente; avere come unico movente di ogni nostra azione l’amore, così da poter dire, in ogni momento della giornata: “Sì, mio Dio, in quest’attimo, in quest’azione t’ho amato con tutto il cuore, con tutta me stessa”. Solo così potremo dire che amiamo Dio, che contraccambiamo il suo essere Amore nei nostri confronti.


"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.”


Per vivere questa Parola di vita sarà utile, di tempo in tempo, analizzare noi stessi per vedere se Dio è veramente al primo posto nella nostra anima.


E allora, per concludere, cosa dobbiamo fare in questo mese? Scegliere nuovamente Dio come unico ideale, come il tutto della nostra vita, rimettendolo al primo posto, vivendo con perfezione la sua volontà nell’attimo presente. Dobbiamo potergli dire con sincerità: “Mio Dio e mio tutto”, “Ti amo”, “Sono tutta tua”, “Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio d’amore infinito!”.


Chiara Lubich

(Parola di vita, ottobre 2002, pubblicata in Città Nuova, 2002/18, p.7)